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giovedì 3 dicembre 2015

Perdono, perdono, perdonooooooo

Vi devo delle scuse, o miei quattro lettori di cui tre parenti.
Sparire cosi', senza nemmeno salutare, o dare una spiegazione.

Ma vivere qui, in un punto del mondo dove il denaro è cosi' importante che ha perso qualunque significato, mi ha un po' massacrata: parlare di minimalismo è diventato impossibile, per una come me che campa di stipendio, qui, ora.

Per come la sento adesso, per essere minimal devo avere dei soldi che decido consciamente di non sprecare scioccamente.
Se invece la realtà è che tolte le spese, che qua sono allucinanti  - vi basti sapere che l'acqua costa tre euro e mezzo al metro cubo, e come potete immaginare, dato che spesso fa caldo, la doccia non è un vezzo, per esempio - pur  avendo uno stipendio non proprio bassissimo, mi restano tipo cento euro al mese da "buttare"; dunque anche decidere di andare al cinema (undici euro e mezzo) diventa oggetto di seria riflessione.

Capirete che mi sento piu' povera che minimal, e di conseguenza è un po' come se mi prendessi per i fondelli da sola, a scrivere di rinunce al superfluo. Quale superfluo?
Ah si', la maglietta da pochi euro che tra l'altro è stata cucita da una donna in Bangladesh.

Ora, è risaputo e scontato che non sono qui per lamentarmi, ma per farvi fare da osservatore non necessariamente silenzioso, da specchio, da cassa di risonanza ai miei pensieri.
Vi rispetto troppo per ammorbarvi con le mie geremiadi : spero mi scuserete se da ora in avanti scrivero' magari di tutt'altro piuttosto che di decluttering.

Ancora non ho deciso di cosa occuparmi: lo so che dovrei dare un taglio qualsivoglia a questo blog, al momento pero' credo che mi limitero' a scrivere un diario cianciando di tutto e di niente, sperando di non risultare troppo banale e noiosa.
Perdonatemi, io lo so che sarebbe meglio che vedessi uno psicologo, ma voi siete piu' simpatici e soprattutto non riportate tutto all'invidia del pene, che nel mio caso proprio non è cosa.

A la prochaine, j'espère.

martedì 3 marzo 2015

Tre anni e un giorno

Auto carica, due gatti e una mamma quasi sana a bordo. Davanti a me, su un'altra macchina,un papa'apripista e scacciangoscia ancora piu' carico di me trasporta un bel pezzo di cio' che possiedo e tutta la mia vita precedente.
Amici, affetti, lavoro che non c'è e un sacco di preoccupazioni: ecco cosa lascio, come un capitano coraggioso e solitario, nella speranza fiduciosa di girare pagina,forse definitivamente.
E' vero che non sto andando all'altro capo del mondo, ma tre anni e un giorno fa, quando mi son chiusa la porta di casa mia dietro alle spalle, la mia vita è cambiata un'altra volta, e il salto l'ho fatto da un'altezza di cui mi rendevo conto solo a metà.
Oggi non ho voglia di tirare le somme di questo periodo: mi sembra ancora un po' presto, e poi i bilanci mi piace farli solo se sono positivi.
Altrimenti, c'è tempo, e se invece di tempo non ce n'è, il bilancio è inutile.
E poi,in fin dei conti, non si puo' comparare un'intera esistenza passata in un unico posto,con l'enorme carico di esperienze che ne deriva, con tre anni di permanenza in una città che ancora mi sembra aliena.

martedì 3 febbraio 2015

Ms. Macho

Quando ero piccola e facevo le elementari, le suorine dopo pranzo ci facevano giocare nel cortile della scuola, in quella che adesso si chiamerebbe animazione e che allora invece era la ricreazione
Ci si ricreava dalle ore di lezione del mattino, che potevano essere impegnative tra il dettato, il problema con quello là che comprava tre mele e ne mangiava due e la poesia da imparare a memoria, ma graziaddio si disegnava spesso, si scriveva il pensierino e si facevano le cornicette.

Quindi le suore, con un'insospettabile vena da G.O.da villaggio vacanze della prima ora, si davano un gran da fare per farci  ricreare grazie ai classici rialzo, moscacieca, unduettrè stella e via discorrendo,e soprattutto alla insostituibile palla avvelenata

Io ero una ragazzina un pelo bizarre, che detestava i giochi di squadra, abbastanza complessata  dalla mia discreta goffaggine, terrorizzata dall'idea di poter cadere, sbucciarmi in qualche punto del mio corpo e immancabilmente svenire. 
Quindi, quando tirava aria di giochi di squadra,cioè sempre, me la filavo senza parere, mi infrattavo da qualche parte e affondavo nella lettura di un Topolino, oppure corrompevo qualche altra bambina, costringendola a trasformarsi in ballerina di fila di un improbabile balletto di cui io ero l'implacabile coreografa, o mi inventavo di sana pianta giochi per pochissimi eletti. 
Da piu' grande, mostrando già un deciso penchant per le lingue straniere, insegnavo il dialetto friulano (che era la prima lingua della mia adorata nonna materna) a due povere disgraziate compagnette di origine siciliana, che seguivano le mie lezioni con un'espressione un po'cosi'.

giovedì 18 dicembre 2014

Mysterious ways

Il prossimo marzo del vicinissimo 2015 i miei genitori festeggeranno 50 anni di matrimonio.

Cinquanta. Anni. 

Piu' tempo di quanto io abbia vissuto in terra, fatto alquanto ovvio per le persone di quella generazione e di quella mentalità - le mamme come la mia non restavano incinte prima di 
sposarsi,e i papà come il mio non si sarebbero mai nemmeno permessi di immaginare un accadimento simile.

Piu' tempo di quanto molte coppie del mio mondo conosciuto osino - o sospettino, o temano - immaginare.

Eppure, pur non avendo avuto un rapporto puccipucci, avendo anzi attraversato diversi momenti bassi e anche bassissimi, ai quali ricordo piuttosto chiaramente di aver assistito e a volte pure partecipato, mio padre non vede l'ora di andare a trovare la mia mamma che ora vive in casa di cura - luogo notoriamente superdeprimente, come minimo, anche se si tratta di una location bella, bellissima. 

Lei, da quando Al ha deciso di occuparsi di lei a tempo pieno, manco lo riconosce, anzi per massima beffa del destino - nei rarissimi momenti in cui le sinapsi, urlando come pazze per farsi sentire nel buio di quel cervello ormai deserto e buio, riescono per caso a comunicare qualcosa l'una all'altra - lo prende per suo padre e come tale lo tratta.
Deve esser quantomeno bizzarro  per un uomo di quasi ottant'anni sentirsi apostrofare da una figlia di quattro anni ospitata nel corpo di una donna anziana, che per la verità è sua moglie, con la quale ha vissuto pantaloni a zampa,edonismo reaganiano, rampantismo yuppie e paninari (non tramite me. Io sparavo a vista ad ogni calza Burlington che avesse l'ardire di avvicinarsi alla mia capigliatura gotica), cullando come ultimo sogno il pensiero di una pensione tranquilla e benestante trascorsa insieme.

mercoledì 19 novembre 2014

Fred Flintstone è tornato

Lo sapete già, perchè ve l'ho raccontato piu' volte. 
La cosa piu' complicata da capire, per un emigrato all'estero, è la cultura del popolo che lo ospita ed il modo in cui la comunica.
E,secondo me, piu' l'emigrato in questione è stagionato d'età, piu' gli è difficile comprendere alcuni atteggiamenti. 
Ora, io invece di emigrare due anni e mezzo fa, avrei dovuto farlo almeno vent'anni prima, per evitare il doppio problema di essere realmente un po' vecchiotta  e di conseguenza un po' rigida nel cambiare i miei punti di vista, e allo stesso tempo una specie di adolescente perenne e fuori tempo massimo, sempre talmente fiduciosa nei suoi mezzi da credere che prima o poi tutto le si paleserà nella chiara evidenza dei comportamenti altrui.

Tutto 'sto pippone introduttivo per dirvi che, se già nuotavo in una serie di angosce esistenziali che mi si sono create stando qui in questo angolo di Gallia, leggere certe cose sull'allegato domenicale del giornale di punta della regione non è che mi abbia granchè rincuorato. 

L'articolo, apparso  domenica scorsa nella sezione dedicata alla psicologia, si riferisce alla bugie che si raccontano sul posto di lavoro per evitare problemi che potrebbero manifestarsi in riferimento al proprio privato. Quindi troviamo il  maestro di scuola che si preoccupa che la sua condizione di gay possa destabilizzare i bambini, il bipolare a cui lo psicologo ha consigliato di evitare di scrivere questa cosa nel curriculum,il panettiere analfabeta che si inventa ogni sorta di scusa per non scrivere niente fino al momento in cui almeno le bolle delle forniture prima o poi dovrà pur firmarle e via su questo genere di casi umani, oserei dire un tantinet limite.
Quello pero' che mi ha stesa è la testimonianza della sedicente direttrice finanziaria single e senza figli la quale, traduco e cito , "fino a trent'anni è stata ben contenta di essere molto gradita al datore di lavoro,[in qualità di dipendente che] non deve mai uscire prima per andare a prendere il bambino all'asilo" e che "si dimostra sempre disponibile". 
E fin qui, niente di nuovo sotto il sole. 
Ma poi la  tizia prosegue "...ma a 48 anni, quando hai un'equipe da gestire e delle responsabilità, questa condizione diventa sospetta. Se vai in crisi su un dossier, già mi sembra di sentire il sussurro "Lasciala stare, è una vecchia zitella che vive col suo gatto"(sic).

domenica 9 novembre 2014

Got a light, hunny?

Ho appuntamento alle 14, rito fisso ogni due mesi. 
So che non devo prevedere nulla nel pomeriggio, la seduta sarà lunga, sia perchè rifare il colore ha tempistiche estese, sia perchè da Catherine, la mia parrucchiera ch'ti, non si va solo per i capelli, ma per un rito socioculturale collettivo che sai quando comincia, ma non quando finirà.

Adoro questa donna: giovane,simpatica, allegra, ciarliera all'infinito. E' riuscita a far parlare persino me di tutti i fatti miei, io che da buona sabauda dal parrucchiere non dico una parola, mi limito a chiedere cortesemente il servizio che mi serve e morta li'. 
Persino con Luca, il mio storico pruchè torinese, ci abbiam messo anni prima di cominciare ad intrattenere un rapporto un po' meno che strettamente professionale. 
Io non sono una che ama raccontare i fatti suoi, ho bisogno di conoscere bene le persone con cui mi rapporto, sapere che realmente sono interessate a quello che gli rivelo, altrimenti perchè parlarne? E  poi ci sono le altre clienti, che invece spesso sono curiose come delle scimmie, ma di che cosa poi, non è che conduca una vita chissà quanto interessante. 
E' evidente che il parrucchiere, in generale, non è per me il posto giusto dove fare outing.
A Cat, invece, quasi da subito ho incominciato a raccontare le mie piccole disavventure galliche. 
Sarà perchè, da buona ch'ti, quindi francese del Nord - notoriamente piu' simpatici e aperti dei loro conterranei del Sud, che sono invece chiusissimi e per niente inclusivi ,un misto di piemontese e di ligure al cubo. Per ulteriori informazioni sugli ch'tis guardatevi la versione originale di Giu' al nord - mi ha sommersa di sorrisi e piccole buffe battute indagatorie. 

domenica 12 ottobre 2014

Capra e cavoli

Alcune cose di Torino che mi mancano molto.

La meravigliosa luce autunnale, gli alberi dalle foglie di tutte le sfumature dei colori del fuoco. Una bellissima coperta patchwork  vegetale a scaldare la terra ormai fredda. Una castagna gingia*  in tasca contro il raffreddore, come diceva mia mamma.
* castagna non caldarrostabile dell'ippocastano, re dei viali torinesi. C'è pure il segnale stradale di pericolo di caduta castagne. Giuro.

La nebbiolina in una bella mattina di sole nelle Langhe, mentre si va per vino e ci si concede una trionfale mangiata di funghi.

Una serata  in un pub adeguato - forse neanche esistono piu'  - con una bella pinta di birra irlandese, che sia Guinness o Kilkenny, mentre si chiacchiera ad una tavolata insieme agli  amici di sempre.

Il tempo passato a casa della mia amica Bet a preparare cena mentre sentiamo musica e ci diciamo le cose piu' assurde.

I sardina party organizzati dal mio amico Bobby, ergo 400 persone in 50 metri quadri, ottima musica a palla, e drink di ogni forma e colore (e tasso alcolico a scelta)

I figli delle mie amiche, unici esseri sotto i dieci anni che amo come se li avessi prodotti io, e per cui non sento l'immediato stimolo di cucinarli  come dei graziosi quanto insopportabili arrosticini urlanti.

La dimensione della mia cucina, vero e proprio antro dell"alchimista. Solo li' poteva venirmi voglia di far bollire un chilo di nocciole, ustionarmi le dita pelandole, e preparare un milione di flan.


Piazza Maria Teresa,una delle piu' belle in città

Piazza Carlina (pardon, Carlo Emanuele II),piazza Maria Teresa e piazza Cavour.

Un caffe' con panna al Bodoni, nella piazza omonima. Panna fatta al momento, in coppetta  a parte, cosi' da non raffreddare inutilmente il caffé ristretto e profumatissimo, che va consumato, ça va sans dire, senza aggiungere zucchero.

I giri infiniti alla libreria Feltrinelli di piazza CLN. Guardare ogni copertina, leggere il riassunto, valutare o meno l'acquisto, prendere mentalmente nota di quel titolo che comprerai la prossima volta, che già stai quasi in rosso sul conto e comunque ne hai già presi tre.

Un bagno che possa chiamarsi tale, e,parlando con licenza, un bidet. 
Voi cisalpini non avete idea di quanto le terme romane siano impresse a fuoco nel nostro DNA. 
Per la maggior parte delle persone,qui, il succitato sanitario non è altro che un' inutile bacinella che ruba solo spazio. Il bagno è considerato un angolo triste della casa, utile soprattutto a stipare ogni oggetto possibile immaginabile di non pronto utilizzo. 
Per lo piu' il wc è ancor piu'tristemente sistemato altrove, in uno sgabuzzino senza finestra.
Ma porco cane, io voglio che l'aria fresca entri ad eliminare il ricordo delle tossine radioattive e potenzialmente letali per i recettori nasali che sfratto dal mio corpo. E invece no, devo convivere per un po' con la certezza che anche gli angeli come me mangiano fagioli, perchè l'inutile colonne sèche che dovrebbe portarsi via gli odori è evidentemente ostruita dall'interno dalla polvere e dall'impossibilità fisica di servire ad alcunchè.

Una generalizzata eleganza della città, maggiore pulizia delle strade, gente che non sembra appena scesa dal letto o uscita dalla doccia, negozi e vetrine piu'belle e piu' trendy, pure dei posti che frequent(av)o io, quindi necessariamente non di lusso.

IKEA (occhei, sparatemi)

I mercati non alimentari, leggete Crocetta, Benefica, Palestro, dove trovare abbigliamento e scarpe a poco, anche pochissimo.

Alcune cose che non mi mancano nemmeno un po'.

L'incessante rumore del traffico. Stridor di freni e porte dei pullman sbattute. Ragazzini cretini con marmitta del motorino truccato. Strombazzamento perenne. Traffico da ora di punta alle tre del mattino.

Code ovunque. In posta. In banca. Negli uffici comunali. Dal medico specialista che paghi uno sproposito. Al cinema. Al bar per fare la pipi'.

La neve. Il freddo sei mesi all'anno. Il cielo di colore incerto. La cappa quasi solida di calore estivo . L"odore non proprio di rose dell'aria. I luoghi di villeggiatura in montagna che non se ne puo' piu'.

La gente che non paga il biglietto sui mezzi pubblici. La vecchietta rompiscatole che si lamenta alla posta,in stazione, od ovunque ci sia una fila (cioè in ogni dove, vedi sopra) perchà non è possibile, che con tutti i disoccupati che ci sono, che si stava meglio quando si stava peggio eccetera. L"espressione sempre corrucciata di tutti. L'homo strombazzantus che ti scassa di clacson contemporaneamente alla comparsa del verde al semaforo.

La sensazione di non poter uscire di casa senza essermi almeno truccata, vestita e pettinata da minimo sindacale. Lo so che è un po' in contraddizione con quanto detto sopra, ma qui riesco a essere molto piu' naturale senza sentirmi in colpa. Non sempre, non tutti i giorni, ma se ppo' ffa'.

La necessità di usare sempre la macchina. Meraviglioso, Nizza e' talmente ben servita e i parcheggi costano cosi' cari, che in quasi tre anni  ho fatto con l' auto meno di diecimila chilometri.

La cronica mancanza di lavoro, il conseguente atteggiamento di schiavitù da lavoro per gli  happy few che un'occupazione ce l'hanno, la totale mancanza di diritti, lo stigma sociale sulle donne che lavorano part time - qui praticamente tutte le donne lo fanno, e si chiedono come potrebbero fare il full time tenendo famiglia. Se po', se po'.